Febbraio

Il Maestro e il Sovrano

Siamo a Firenze, in un momento imprecisato del 1294 e Dante ha quasi trent’anni. Il cronista Giovanni Villani, nella sua Cronaca, segnala la morte di un uomo “mondano”, che sta per “dissoluto”, ma ciononstante talmente importante per la storia di Firenze, da meritare un vero e proprio encomio, in cui viene celebrato come una delle menti direttive, forse la più attrezzata ideologicamente, della città.

“Morì in Firenze uno valente cittadino il quale ebbe nome ser Brunetto Latini, il quale fu gran filosafo e fue sommo maestro in rettorica, tanto in bene saper dire come in bene dittare”.

Si tratta del maestro di Dante che il poeta ricorderà con affetto nell’Inferno, sul sabbione infuocato dove sono puniti i peccatori contro natura.

“Fui conosciuto da un che mi prese per lo lembo e gridò: “Qual maraviglia!”. Dante fu così iniziato agli studi del Trivio e del Quadrivio, apprendendo non solo grammatica, retorica e dialettica, ma anche aritmetica e geometria, nonchè rudimenti di musica e astronomia.

Nel febbraio dello stesso anno a Firenze fervono i preparativi per l’imminente arrivo di Carlo Martello d’Angiò in città: per l’occasione viene nominata una delegazione di cittadini, a capo della quale vi è Giano dei Cerchi, coetaneo di Dante accanto a cui aveva combattuto a Campaldino cinque anni prima.

I commentatori sono unanimi nel ritenere che Dante fu uno dei più prossimi tra i delegati ad avvicinare Carlo Martello che fu la prima figura politica di spicco che egli ebbe modo di conoscere personalmente. Al punto che, stando al testo della Commedia, l’incontro – benché fugace – sfociò in una particolare amicizia, forse epistolare, giacché Carlo Martello non tornò più a Firenze. Dante ricorda il giovane sovrano nell’VIII canto del Paradiso e ne parla come di un intimo amico.

“Deh, chi siete?” fue la voce mia di grande affetto impressa”.

La reazione del sovrano, quando riconosce le fattezze dell’Alighieri, rivelano una analoga simpatia.

“E quanta e quale vid’io lei far piùe per allegrezza nova che s’accrebbe, quando parlai a l’allegrezze sue!”

Il ricordo dell’affetto che Dante provò per il giovane angioino si ricava dalla esternazione dello stesso Carlo Martello:

“Assai m’amasti, e avesti ben onde; che s’io fossi giù stato, io ti mostrava di mio amor più oltre che le fronde” [...] “Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso com’esser può, di dolce seme, amaro”.

Carlo Martello fu anche colui che si trovò a gestire la travagliata vicenda di Celestino V e non è improbabile che fu lui a narrare a Dante alcuni particolari inediti riguardo al “gran rifiuto”, o per via epistolare o in un secondo abboccamento che però non ci è stato documentato.

Altri commentatori, invece, hanno ravvisato in questo affetto, un escamotage poetico per delineare meglio il Cielo di Venere, esaltando la gentilezza di Carlo Martello, raro sovrano angioino dal “cuore tenero”.