Maggio

Dante scrivano di corte

Dante Alighieri era già considerato dai suoi contemporanei un intellettuale di indubbia fama ed era coinvolto nelle dinamiche politiche dei suoi tempi. Ebbe così modo di familiarizzare con alcune tra le più potenti casate signorili d’Italia: gli Scaligeri, i da Polenta e i conti Guidi, un tempo signori di un ampio dominio tra Romagna e Toscana, ma ormai divisi in tanti rami, talvolta persino in lotta fra loro.

Il 18 maggio 1311 Dante si trova, in veste di “scrivano”, nel castello di Poppi, ospite di Gherardesca, moglie di Guido da Battifolle. Dante è in Casentino, quale “exul inmeritus”, ormai da qualche mese: il 31 marzo scrive “agli scelleratissimi Fiorentini” e il 17 aprile invia una lettera all’imperatore Enrico VII. Entrambe le epistole furono redatte “ai piedi delle sorgenti dell’Arno”: ci troviamo, quasi certamente, nel castello di Porciano, dominio dei Guidi.

Dante aveva avuto modo di conoscere bene la nobile famiglia, al punto da aver inviato una lettera di condoglianze a Oberto e Guido da Romena, nipoti del defunto conte Alessandro, ricordato nel canto XXX dell’Inferno. Oltre 20 anni prima Dante era già stato in Casentino, ma in veste di soldato, nel 1289.

Da allora, però, il clima politico era profondamente cambiato: Dante è esule, ma speranzoso. Confida nell’imminente discesa di Enrico VII, un re giusto che pieghi la superba Firenze e riporti la pace tra le fazioni, facendo finalmente rientrare gli esuli nelle loro città.

È in questo clima che Dante si trova a stendere una o tre letterine per conto della contessa Gherardesca, indirizzandole alla moglie dell’imperatore, Margherita: una sola delle tre epistole è datata e riporta chiaramente come sia stata inviata “de castro Poppii, xv kalendas iunias” (18 maggio 1311).

L’Alighieri fu chiamato dalla contessa in qualità di scrivano, per intrattenere una corrispondenza con l’imperatrice, le cui missive sono però, purtroppo, andate perdute. Non era inusuale che intellettuali di un certo calibro si prestassero per comporre epistole di tale livello, e non era neppure così inusuale che nobildonne intrattenessero scambi epistolari col fine di creare (o mantenere) proficue relazioni diplomatiche.

La vicenda di Enrico VII si dipanò rapidamente e tragicamente: dopo l’interminabile assedio di Brescia, si recò a Genova dove l’imperatrice morì di peste il 14 dicembre. Il 6 marzo 1312 Enrico sbarcava a Porto Pisano per scendere a Roma dove fu incoronato in Laterano il 29 giugno.

Enrico assediò vanamente Firenze, la cui difesa era guidata anche da un conte Guidi, proprio il marito della contessa che aveva scritto parole di affetto alla imperatrice per mano di Dante. L’imperatore tornò a Roma e a Pisa, ormai colmo di sfiducia, così anche come l’Alighieri che vedeva vanificare il proprio ritorno in patria. La delusione sarebbe stata completa quando, il 24 agosto, anche l’imperatore sarebbe morto improvvisamente a Buonconvento.