Il 29 novembre 2024 si è svolta una tavola rotonda organizzata dalla Facoltà di Filosofia, in collaborazione con la Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana (UPS). L'evento ha avuto come obiettivo una riflessione antropologica sull'educazione alla libertà di coscienza, esplorando il concetto di coscienza non solo come struttura metafisica dell'essere umano, ma anche come luogo di elaborazione della sua identità e del giudizio morale. In questa prospettiva, la coscienza emerge come elemento fondante della condizione umana, capace di orientare l'azione attraverso un continuo dialogo tra individuo e società.
L'antropologia, in questo contesto, pone in evidenza come la libertà non sia semplicemente assenza di vincoli, ma un processo educativo che implica la definizione di un progetto di vita coerente, in grado di dare senso alle scelte quotidiane. Tale progetto, radicato nei valori condivisi, permette all'individuo di costruire relazioni significative con gli altri, in un'interazione costante con il proprio ambiente culturale e sociale. Tuttavia, valori, coscienza e libertà rischiano di ridursi a mere astrazioni se non vengono educati in modo da superare egoismi e soggettivismi, attraverso un'apertura alla responsabilità collettiva e alla solidarietà.
La prima parte della tavola rotonda ha affrontato queste questioni da un punto di vista filosofico, per poi analizzare le implicazioni pedagogiche, con particolare attenzione al ruolo della famiglia come contesto privilegiato per l'educazione della libertà. La seconda parte si è concentrata su un confronto interculturale, approfondendo la prospettiva islamica sull'argomento.
Nella tradizione islamica, la libertà è intrinsecamente legata al processo educativo, inteso come un percorso di formazione della coscienza in relazione al divino. Il primo livello di libertà è rappresentato dalla capacità di scegliere e agire liberamente, un dono percepito come proveniente da Dio, da vivere con gratitudine e rispetto. Un livello superiore si manifesta nella progressiva adesione alla volontà divina, vissuta non come imposizione, ma come realizzazione della propria autenticità spirituale.
I testi sacri dell'Islam, insieme alla tradizione sapienziale, costituiscono la base di ogni educazione. L’episodio coranico dell’incontro tra il profeta Mosè e “al-Khidr”, il "verdeggiante", illustra il rapporto tra maestro e discepolo, sottolineando virtù come pazienza, affidamento e certezza del beneficio spirituale, fondamentali in ogni contesto educativo. La virtù della taqwa, spesso tradotta come "timore di Dio" o "coscienza spirituale", rappresenta un concetto chiave nell'antropologia islamica. Essa richiama alla consapevolezza della dipendenza dell’uomo da Dio, in contrasto con la moderna enfasi sull’autosufficienza individuale, che spesso genera insoddisfazione e alienazione nei giovani.
Attraverso la taqwa, l'individuo sviluppa compassione per il prossimo e una percezione della realtà come luogo di costante apprendimento e discernimento. Questi elementi si integrano in quella che i sapienti islamici definiscono “scienza utile”, la base di ogni educazione autentica, che non solo forma la coscienza individuale, ma promuove anche il benessere collettivo.
Questa versione mette in risalto i temi principali (coscienza, libertà, valori) inserendoli in un quadro antropologico che considera l'essere umano come soggetto relazionale e culturale.